Il decollo

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Oggi sembra essere il giorno giusto per riaprire finalmente la vela dopo i mesi invernali di riposo forzato. Ieri sera c’è stato l’aggiornamento meteo tra i piloti ed è stato fissato il ritrovo per le 11.00 in decollo.

Sono emozionata al pensiero che oggi volerò di nuovo. Mi è mancato il parapendio in questi mesi. Mi è mancata quella sensazione di libertà che provo quando mi libro nell’aria e guardo tutto dall’alto. L’ho provata sin dal primo tandem e la ritrovo ancora ad ogni volo.
Non è semplice benessere, né è violenta come una scarica di adrenalina, è un’ebbrezza piena, quasi irreale, alla quale non saprei più rinunciare. Già Leonardo da Vinci lo predisse: “Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare”. Oggi, se tutto andrà bene, vivrò di nuovo quella sensazione unica.

Spero di ricordarmi la tecnica, piuttosto, dopo il periodo di inattività. Non sono ancora così esperta e sicura e la mancanza di allenamento mi fa sentire più esposta ad errori. O forse è semplicemente paura, umana paura davanti a una dimensione non naturale all’uomo.
Dovrò ripassare mentalmente tutti i passaggi e stare concentrata, soprattutto in decollo e in atterraggio. La natura mi ha concesso di godere di questo privilegio, a patto che rispetti le sue leggi, fisiche e aerodinamiche. E io non posso presentarmi impreparata.

Il volo mi ha sempre fatto questo effetto: piacere e timore insieme. Nel tempo sono cambiate le proporzioni: all’inizio, quando non conoscevo la tecnica, era superiore il timore, ora non più, ma un po’ di paura resterà sempre, credo. E’ il prezzo del volo e il suo fascino. Se non vivessi la tensione prima, forse non godrei della pace dopo.

Ieri sera ho controllato l’attrezzatura, ho messo in carica la radio e il variometro, ho preparato la giacca a vento e gli scarponi. Non ho bevuto vino e sono andata a letto presto per essere più lucida possibile; stamattina mi sono alzata presto per fare colazione con calma e avere il tempo di digerire e ridurre al minimo il rischio di nausea in volo. Solo per il volo riesco ad essere così disciplinata.
Poi ho controllato le previsioni su ilmeteo.it: davano sole, vento meteo da Nord-Est a circa dieci chilometri orari e instabilità diffusa, le condizioni giuste per fare quota e realizzare un bel volo.
Chi l’avrebbe mai detto fino tre anni fa che mi sarei interessata così tanto alla direzione del vento, al gradiente termico e alla percentuale di umidità…

DSCF6194-Benny-1Arrivo con gli altri piloti all’appuntamento fissato. Tutti sono impazienti di inaugurare la stagione di volo. Ci si saluta calorosamente, uniti dalla stessa passione. Saremo una ventina, di età e vite diverse. Ci sono i miei compagni di brevetto, con cui ho condiviso le fatiche e le soddisfazioni del corso e dell’esame; ci sono i ‘top pilots’, i più bravi, con oltre dieci anni di esperienza, un paio di gruppetti di amici che volano sempre insieme e qualche pilota spaiato che si unisce al gruppone.

Il decollo è situato sul crinale orientale del monte Caio, a circa 1500 metri di altitudine, ed è esposto a sud. Di fronte, a circa venti chilometri in linea d’aria, si vede la catena appenninica che separa l’Emilia dalla Toscana, ha ancora le cime innevate. I top pilots, che sanno sfruttare ogni condizione di ascendenza, la raggiungono agevolmente in volo; io non ci sono ancora riuscita, troppo lontana e ostica per le mie capacità, ma spero di riuscirci prima o poi, seguendo uno dei bravi.

La giornata sta mantenendo le previsioni: qualche piccolo cumulo si sta formando qua e là e in decollo comincia a salire la brezza dalla valle assolata, che fa sbuffare la manica a vento ciclicamente.
Le previsioni sono importanti, ma è l’osservazione del cielo lo strumento migliore per capire come si evolverà la giornata e che cosa aspettarsi in volo. Così ci ritroviamo tutti a naso in su a guardare le formazioni delle nubi, il loro muoversi nel cielo e ad ascoltare le analisi dei piloti più esperti. Guardiamo soprattutto dove si stanno formando i cumuli, per capire dove fare quota una volta usciti. Uno s’è già creato sopra al decollo e un paio di cumuletti più piccoli cominciano a formarsi sulla destra.
I cumuli, le nubi a sviluppo verticale, sono gli “ascensori” naturali del volo libero. Sotto di loro c’è sempre una corrente d’aria più calda, che sale fino a raffreddarsi e condensare; in volo si può sfruttare questa corrente e, girandola in tondo, guadagnare quota velocemente. Ci si deve avvicinare con prudenza però, ed essere sempre pronti a uscire dal cilindro di aspirazione, perché finire risucchiati in nube è rischioso, per turbolenza e totale mancanza di visibilità.
Girano leggende su piloti che sono stati aspirati da cumuli congesti alti migliaia di metri e poi risputati fuori a 4000 metri con il ghiaccio alle orecchie e gli occhiali crepati; si dice che non siano più tornati gli stessi e che ora vadano in montagna solo a raccogliere funghi.
E pensare che fino a qualche anno fa guardavo quelle nubi gonfie come panna montata e le immaginavo soffici e innocue, quasi celestiali. Non avevo idea che potessero essere un pericolo.
Ho imparato tante cose da allora, sui cumuli, sui venti, soprattutto ho capito che siamo ospiti in cielo e dobbiamo esser rispettosi delle leggi della natura: possiamo sfruttare a nostro vantaggio le condizioni che ci offre, ma non sottovalutare mai le sue reazioni.

Un centinaio di metri sotto ad uno dei cumuletti sulla destra, scorgiamo una poiana: ha le ali spiegate, parallele al terreno, non le sbatte, si sta lasciando trasportare dalla termica seguendo una traiettoria circolare, sale di un po’ a ogni giro. E’ da questi uccelli che l’uomo ha imparato a scalare il cielo e guardarli volare è sempre istruttivo e meraviglioso.
Dopo l’osservazione, ci si comincia a preparare: si spacchettano le vele e si dispongono sul decollo. Qualche pilota esce subito e in breve è già alto, a conferma che oggi salire non dovrebbe essere difficile.
Anche io sistemo la mia vela ‘a banana’ sul decollo, con la parte centrale più in alto, che si gonfi di aria prima delle estremità, e si sollevi più facilmente diritta.
La mia vela è una Arcus 6 della Swing, di colore arancio-bianco-azzurra. Mi ha accompagnata fino a 2700 metri di altitudine, è incappata in qualche chiusura ma si è sempre riaperta e mi ha sempre riportata a terra. E’ la mia compagna di avventura, il mio pass per il cielo e io mi fido di lei.
I cordini, li ho controllati, non hanno nodi e sono stesi ordinatamente, con i freni disposti sotto tutti gli altri.
Ho indosso la giacca a vento pesante e i guanti, perché in quota c’è sempre fresco.
Metto anche gli occhiali da sole e il casco. Porto ancora quello chiuso con la mentoniera, che fa molto ‘principiante’, ma da quella volta che sono inciampata in decollo col casco aperto e ho dato una facciata in terra rischiando di rompermi i denti, non mi fido più.
Ho già messo i braccialetti con la pallina contro il mal d’aria e tra poco mangerò una Travelgum: non so se siano solo dei placebo, ma quando li ho almeno non mi viene la nausea e riesco a gestire gli effetti dei movimenti in 3D sulla mia labirintite latente.

Mi infilo nell’imbrago, aggancio i cosciali e il ventrale, poi aggancio le bretelle della vela ai moschettoni dell’imbrago, controllando bene il verso; cerco la maniglia dell’emergenza con la mano, accertandomi che sia ben aderente.
E’ il rituale della sicurezza, che eseguo scrupolosamente ogni volta, perché basta una leggerezza per mettersi in pericolo. Ce l’hanno inculcato bene al corso e ad imprimere meglio il concetto ci si tramanda una ricca antologia di casi sfortunati in cui piloti sono morti o quasi perché si erano dimenticati di agganciarsi correttamente.

Passo alla tecnologia: accendo la radio sulla solita frequenza del nostro gruppo e faccio una prova con il mio vicino; la uso poco in volo, perché per parlare devo staccare le mani dai comandi.
Poi accendo il variometro, in realtà è uno strumento molto più complesso, ma a me interessano soprattutto i ‘bip’ che emette quando avverte le ascensioni. Da quando ho imparato a girare le termiche per guadagnare quota, ho dovuto rinunciare all’idea di volare nel silenzio assoluto. Ci ripenserò se mai un giorno acquisirò una sensibilità tale da fiutare le minime ascensioni con i miei soli sensi.

Sono bardata come se dovessi partire per la guerra, e mi muovo goffamente per via dell’imbrago. Non sono per niente femminile. Anzi, non sembro proprio una femmina. Ho solo i guanti rosa a ricordarmelo.
Tra poco tocca a me uscire.
Fino ad ora ho scherzato con gli altri piloti in preparazione, ma ora voglio stare un po’ in silenzio e concentrarmi. Ai primi voli, in questi momenti che precedono il decollo quasi tremavo di paura e dovevo inspirare profondamente per trovare la giusta calma per partire; ora non tremo più, ma il battito del cuore è comunque accelerato.
Sento che sto tuffandomi in un elemento non mio, so che sarà bellissimo ma ora ne ho timore, tra poco non avrò più la terra sotto i piedi a sorreggermi.
Dicono che sia un bene avere paura, perché mantiene concentrati e vigili; chi non ce l’ha rischia di fare errori per eccessiva confidenza. Credo che non avrò mai questo problema.

Ripasso con la mente la sequenza di azioni da fare e quelle da non fare.
Mi ricordo che se qualcosa va storto nel gonfiaggio o appena dopo, posso sempre abortire il decollo e ripeterlo. Dovrò sentire la vela tirare sulle spalle e poi uscire decisa.
Non come quella volta al corso, che ho tentennato troppo, mi sono ‘mangiata’ il decollo e sono finita sulle piante appena sotto.

DSCF6201-Benny-1Mi giro fronte-vela e spalle al decollo, per prepararmi al decollo ‘alla francese’, il più sicuro per controllare la vela.

Alzo lo sguardo e accanto al decollo intravedo l’arrivo degli impianti di risalita della vicina stazione sciistica, sempre fermi in primavera.
Mi ricordano la seggiovia di Santa Cristina, che presi per la prima volta con la mamma, quando ero piccolissima. Avrò avuto appena tre anni ma sento ancora viva l’emozione che provai nel muovermi sospesa a dieci metri d’altezza, immersa nella natura e nel silenzio. Non era volare, ma fu quello l’imprinting all’elemento aria, ne sono certa.
In seguito dimenticai quel piacevole stupore, pur prendendo tante altre seggiovie.
Lo ritrovai più formato anni più tardi, in sogno: sorvolavo colline e boschi come un uccello. Non mi muovevo alta rispetto al terreno, né velocissima, ma potevo godermi il panorama, distinguere le piante, le foglie sui rami, i fiori. Potevo andare dove volevo, fermarmi e ripartire come un perfetto essere volante. Sentivo l’aria in faccia, ero libera e leggera. Non ricordo sogno più rilassante.
Poi tre anni fa vidi quell’amico volare in parapendio e capii che quel sogno potevo realizzarlo nella realtà. Di tutti i modi di volare, quello aveva tutto per riprodurre quel fluttuare tranquillo della mia mente: una semplice vela, nessun abitacolo, aria in faccia, comodità e facilità nel pilotaggio. Ebbi ragione: quel sogno s’è avverato tante volte da allora. E ora si sta per avverare di nuovo.

Mi sistemo in linea con il centro della vela, impugno le bretelle centrali e i freni. Controllo la manica a vento, che continua a sbuffare regolare. Mi assicuro che davanti al decollo non ci siano altri piloti in volo o in arrivo. Sento l’aria sul coppino, la brezza è giusta.
Ora è davvero tutto pronto.
Respiro profondamente due, tre volte, poi mi do’ il via mentale.
DSCF6205-Benny-1Con le braccia tese e facendo leva con il peso del mio corpo, arretro decisa. I cordini si tendono, istantaneamente le bocche della vela si gonfiano d’aria e lei si solleva seguendo il movimento delle mie braccia. Devo portarla sulla verticale sopra di me.
In un paio di secondi arriva e prontamente la freno per evitare che mi superi, quindi mi giro veloce, do’ un ultimo controllo alla vela sopra di me, una seconda pinzata ai freni, poi protendo il busto più avanti che posso e via!, inizio la corsa lungo la pendenza del decollo per spiccare il volo.
Poche falcate e subito sento gli spallacci dell’imbrago tirarmi sulle spalle: significa che la vela ‘vuole’ volare, la devo solo assecondare.
Da lenzuolo informe e colorato che era appoggiata al prato, la vela si è trasformata in un profilo alare perfetto, in un uccello artificiale capace di sfruttare l’aria per creare portanza, capace di volare. Tutte le nozioni teoriche di aerodinamica imparate al corso si materializzano in questa metamorfosi.
In un attimo la vela mi solleva da terra e sto già volando.
E’ in assoluto il momento più emozionante, anche dopo mille voli.
Mi sento sorretta dalla vela e parte di essa, sospesa e al sicuro. L’altezza non mi fa paura
La tensione precedente si è dissolta, ora sono leggera e libera, come nel sogno.
Ora viro a destra, fino a quando sentirò il primo bip, un altro ancora e comincerò a girare la termica.
Oggi voglio salire e restare quassù per un po’… e lasciare la realtà laggiù, a terra.

Benny

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